
E’ risaputo come l’utilizzo critico dell’empatia sia il cuore di tutto ciò che è innovazione, oltre ad essere anche una delle caratteristiche fondamentali di un imprenditore di successo.
Si tratta infatti di un’abilità che aiuta ad influenzare i collaboratori della tua impresa, ad anticipare le preoccupazioni degli investitori, a rispondere con pertinenza ai tuoi clienti sui social network e persino a svolgere riunioni più efficaci.
Per fare un esempio, alcuni anni fa la Ford chiese ai suoi ingegneri di indossare l’Empathy Belly, una sorta di zainetto anteriore ideato per simulare alcuni dei sintomi della gravidanza, come mal di schiena, peso extra e il movimento dei calci del feto.
L’idea era quella di far sperimentare loro le “sfide ergonomiche” che le donne incinte devono affrontare alla guida, come ad esempio la portata limitata, le difficoltà posturali, il cambio del baricentro e in generale la sensazione di disagio fisico.
Ad oggi ancora non è chiaro quanto ciò abbia contribuito a migliorare l’usabilità delle auto Ford o la soddisfazione dei clienti finali, ma una cosa è certa: gli ingegneri hanno dichiarato di aver beneficiato sensibilmente dell’esperienza.
Non solo infatti stanno ancora usando quel dispositivo, ma hanno anche cominciato a simulare la visione annebbiata e la rigidità articolare dei guidatori anziani con l’aiuto di apposite tute.
Se non altro, questi esercizi sono un modo di “mettersi nei panni del cliente”, cosa che Henry Ford aveva ai tempi dichiarato come la chiave del successo.
Per raggiungere i propri obiettivi non resta quindi che cercare di empatizzare con gli altri ad ogni occasione e assumere quanto più possibile il punto di vista del prossimo?
Attenzione: Maneggiare con cura!
… non è proprio così: stando però a quanto riportato da A.Waitz di hbr.org, a tutti questi gran vantaggi si accompagnano anche delle forti controindicazioni.
Chiariamo, l’empatia è senza alcun dubbio un tratto essenziale per un leader o un manager degni di tale nome: senza di esso, si rischia di prendere decisioni disastrose e rinunciare automaticamente a tutti gli eventuali benefici elencati.
Il fatto è che anche non essere in grado di valutarne i limiti può avere effetti negativi non solo per la performance individuale, ma anche per quella del resto della squadra.
Ecco alcuni degli ostacoli più comuni in cui potresti rischiare di incorrere quando ci misura con la questione empatia… e i metodi studiati per affrontarli o aggirarli con successo.
Problema 1: il consumo
Allo stesso modo del resto degli altri “lavori pesanti” dal punto di vista cognitivo, come tenere a mente numerose informazioni o cercare di non distrarsi in un ambiente caotico, anche l’empatia erode gradualmente le nostre risorse mentali.
Per questo motivo, tutti gli incarichi che richiedono un’attenzione empatica costante possono portare ad uno stato di sovraccarico empatico, ovvero ad una temporanea incapacità di provare compassione verso il prossimo, causata dallo stress.
Da questo punto di vista i professionisti della salute e dei servizi umani, come dottori, infermieri, assistenti sociali e gli ufficiali correttivi, sono le categorie più a rischio in quanto l’utilizzo corretto dell’empatia è parte integrante nel loro quotidiano.
L’eccessiva empatia, ovvero la tendenza a rinunciare a molte delle proprie esigenze per andare incontro ai bisogni degli altri, che a volte caratterizza le infermiere degli ospizi, può portare a questo tipo di disturbo.
Stando ad un’indagine sulle infermiere svolta in Corea, le lavoratrici che soffrivano di sovraccarico empatico erano anche quelle più prone a lasciare il lavoro a breve
In quel contesto, è stato notato come altre conseguenze di questo stato erano anche un aumento dell’assenteismo e degli errori nella somministrazione dei farmaci.
Anche coloro che svolgono lavori sociali o che operano in associazioni noprofit (come i canili) corrono lo stesso rischio.
Il turnover dei volontari è incredibilmente elevato, in parte perché gli esigui stipendi che percepiscono danneggiano molto la loro capacità di abnegazione, in parte a causa della natura impegnativa dal punto di visto empatico dei loro compiti.
La domanda di empatia è implacabile anche in altri settori.
Questione economica a parte, anche i manager infatti soffrono di questi problemi: giorno dopo giorno, ci si aspetta che riescano a motivare i propri collaboratori.
Le implicazioni sono chiare: sottovalutare quelli che sono i limiti dell’empatia può danneggiare la performance.
Problema 2: la quantità limitata
L’utilizzo dell’empatia non si limita a prosciugare energie individuali e risorse cognitive, ma poco a poco finisce con l’esaurire anche le “riserve empatiche” stesse.
Ad esempio, più empatia decido di destinare per un amico in difficoltà, meno ne avrò in seguito per altre persone.
Questo vale sia per il nostro desiderio di essere più empatici verso gli altri sia per la nostra effettiva capacità di farlo, a prescindere che queste nostre capacità siano rivolte a famigliari, amici, clienti e collaboratori.
Nel corso di uno studio, dei ricercatori hanno esaminato i comportamenti relativi agli “scambi empatici” in situazioni professionali e famigliari di oltre 800 lavoratori appartenenti ai settori più svariati, come parrucchieri, vigili del fuoco e professionisti della telefonia.
E’ stato visto come coloro che al lavoro assumevano comportamenti del tipo come prendere il tempo per “ascoltare i problemi e le preoccupazioni dei propri collaboratori” e “aiutare i colleghi stracarichi di lavoro” erano anche quelli che a casa si sentivano meno disposti a fare lo stesso con le proprie famiglie.
Il motivo? Si sentivano emozionalmente prosciugati e sovraccarichi dalle richieste sul luogo di lavoro.
Talvolta il problema relativo a questa sorta di riserva limitata conduce però ad un ulteriore tipo di compromesso.
L’empatia impiegata verso coloro che fanno parte delle nostre cerchie (colleghi più vicini, amici, famigliari) può limitare la nostra capacità di empatizzare con gli “esterni”.
E’ un processo quasi automatico, dedichiamo più tempo ed attenzione a coloro a cui teniamo maggiormente.
Questo tipo di investimento empatico diseguale crea però un divario crescente, che viene ulteriormente allargato dalla nostra riserva emozionale limitata: maggiori saranno i nostri sforzi verso coloro a cui teniamo, minore sarà il nostro desiderio di connettere con tutti gli altri.
Neanche a dirlo, ciò porta ad una progressiva rottura dei legami con gli esterni, se non direttamente ad un’aperta ostilità.
Dal loro punto di vista, il nostri interessi sono completamente rivolti a coloro che ci sono più vicini: basti vedere come l’opinione pubblica ha reagito per il modo con cui alcuni mesi fa Papa Francesco ha gestito la faccenda degli abusi sui minori.
Cosa più strana, però, a volte ciò aumenta anche l’ostilità tra coloro che fanno parte delle nostre cerchie (e godono delle nostre attenzioni) verso gli esterni.
In uno studio condotto con l’università di Chicago da A.Waytz e il professor N.Epley, i partecipanti sono stati suddivisi in due categorie, quelli seduti con un amico e quelli seduti con uno sconosciuto, ed è stato loro mostrato un gruppo di terroristi.
Dopo averli descritti, è stato chiesto loro come giudicassero delle affermazioni che rappresentavano questi terroristi come dei subumani e quanto ritenessero corretto adottare nei loro confronti pratiche come la waterboarding o l’elettroshock.
Si è visto come il solo fatto di stare accanto ad un amico aumentasse in modo significativo la propensione dei partecipanti a de-umanizzare e torturare i terroristi.
Nonostante questo studio rappresenti un caso estremo, lo stesso principio vale anche nelle imprese. La compassione per i propri colleghi e collaboratori può portare a sentimenti aggressivi verso tutti gli altri.
Più spesso ciò causa un “semplice” disinteresse totale nell’empatizzare con i bisogni degli esterni, cosa che però può portare molto facilmente a trascurare potenziali opportunità e collaborazioni.
Problema #3: azioni fuori etica
Infine, l’eccessivo utilizzo dell’empatia può portare a errori di giustizio e ad azioni poco corrette dal punto di vista etico.
Nella maggior parte dei casi, ciò non è dovuto direttamente ad un sentimento di aggressione verso gli esterni quanto piuttosto ad uno di eccessiva lealtà verso coloro a cui teniamo.
Quando ci sforziamo di adottare il punto di vista dei nostri cari, possiamo arrivare ad assumere inconsciamente anche i loro stessi interessi come nostri. Ciò può renderci più propensi a ignorare alcune delle loro trasgressioni, o anche compierne a nostra volta.
Svariati studi di scienza comportamentale hanno infatti dimostrato come le persone siano maggiormente propense a barare se questo aiuta gli altri.
Questa sorta di apparente altruismo aiuta infatti a razionalizzare la propria effettiva disonestà, a prescindere dal contesto e dal tipo di beneficio ricavato.
Se poi ci si trova ad empatizzare con qualcuno che sia effettivamente stato vittima di un trattamento ingiusto, questa componente si accresce esponenzialmente e aumenta la propensione di mentire, barare o anche rubare per aiutare l’altra persona a rifarsi del torto subito.
Specie sul luogo di lavoro, l’empatia verso colleghi e collaboratori può inibire la capacità di segnalare un’irregolarità, fatto che in genere precede uno scandalo… basti pensare a gruppi quali la polizia e i militari, o più semplicemente a Citigroup, JPMorgan e WorldCom.
Il tipo di problemi che hanno afflitto queste organizzazioni (brutalità, abusi sessuali, frodi) tendono infatti ad essere stati portati alla luce del sole da esterni che non si identificano con i loro autori.
Sempre in una ricerca di A.Waytz con L.Young e J.Dungan del Boston College, sono stati analizzati gli effetti della lealtà su persone che utilizzavano Amazon’s Mechanical Turk, un servizio online dove gli utenti possono guadagnare denaro completando incarichi a distanza.
All’inizio dello studio, ad alcuni dei partecipanti è stato chiesto di scrivere una composizione sulla lealtà, ad altri sull’imparzialità. Più avanti, ognuno di loro venne accusato di aver svolto un lavoro mediocre da qualcun altro.
Coloro che avevano ragionato sulla lealtà erano meno disposti ad accusare un altro utente di bassa performance, il che conferma una seconda ricerca che spiega come la corruzione sia maggiormente diffusa nei paesi che valorizzano il collettivismo.
Il senso di appartenenza al gruppo e di interdipendenza tra i suoi membri porta infatti le persone a tollerare l’irregolarità, la cui responsabilità non viene assegnata all’individuo quanto piuttosto attribuita all’intero collettivo.
Insomma, l’empatia per coloro che ti sono più vicini può finire col creare conflitti e comportamenti non etici.
Come limitare l’eccessiva empatia?
Questi tre problemi potrebbero apparentemente sembrare insormontabili, ma come imprenditore ci sono alcune cose che puoi fare per mitigarne gli effetti nella tua azienda.
SUDDIVIDI IL LAVORO
Potresti iniziare chiedendo ad ognuno dei tuoi collaboratori a concentrare i propri sforzi solo su determinati aspetti e persone, invece di empatizzare con chiunque. C’è chi può focalizzarsi solo sui clienti, per esempio, e chi sugli altri colleghi.
Ciò fa in modo che lo sviluppo delle relazioni e dei punti di vista sia meno pesante per gli individui. Così facendo, nonostante l’empatia sia limitata per il singolo, si fa in modo di concentrarla in modo più efficiente là dove risulta più necessaria.
LIMITA LA SENSAZIONE DI SACRIFICIO
I nostri modi di pensare possono sia intensificare che diminuire la nostra sensibilità al sovraccarico di empatia.
Ad esempio, talvolta esacerbiamo i problemi delle situazioni a somma zero (vantaggiose solo a spese di qualcun altro) quando i nostri interessi sono esattamente opposti a quelle degli altri e si cerca di raggiungere un compromesso.
Una mentalità conflittuale non solo ci impedisce di comprendere le esigenze della controparte e rispondervi coerentemente, ma ci fa sentire come se avessimo “perso” qualora le cose non vadano esattamente come volevamo.
Riuscire ad individuare delle soluzioni integrative che portino vantaggio ad entrambe le parti può aiutare a trovare un compromesso ed evitare il sovraccarico di empatia.
Esempio pratico: una contrattazione sul salario tra un candidato e un manager rischia di diventare un vero e proprio tiro alla fune se entrambi hanno in mente diversi numeri e si concentrano sul solo denaro.
Supponiamo però che il candidato tenga particolarmente al posto fisso, e che allo stesso tempo il manager sia estremamente interessato ad evitare il turnover (ci piace vincere facile).
Aggiungere una clausola sulla sicurezza del posto di lavoro creerebbe una situazione in cui entrambe le parti ottengono quello che vogliono.
Ovvero: un gesto empatico da parte del manager che non prosciugherebbe le sue riserve di empatia allo stesso modo di una concessione sul salario, in quanto anch’egli otterrebbe qualcosa che vuole.
PERMETTI DELLE PAUSE
Ognuno ha bisogno di un sollievo periodico nel corso del proprio lavoro, specie se si tratta di compiti tecnici e analitici, o ancora peggio di incarichi monotoni e ripetitivi come il data entry.
Fai sì che i tuoi collaboratori possano prendersi delle pause da questi compiti, e non solo incoraggiando delle attività che portino dei benefici all’impresa (come ha fatto Google con la sua politica del 20% del tempo), ma permettendo che si focalizzino sui loro interessi.
E’ stato infatti dimostrato come coloro a cui è permesso prendersi numerose pause per focalizzarsi su sé stessi sono poi in grado di provare maggiore empatia nei confronti degli altri.
Non si tratta di un concetto particolarmente intuitivo, ma si è visto che quando le persone si sentono ritemprate con pause di questo tipo sono poi in grado di capire e rispondere meglio alle esigenze degli altri.
Quindi, come riuscire a dare ai propri collaboratori una tregua dal pensare e interessarsi agli altri?
Alcune imprese hanno realizzato delle vere e proprie “stanze di isolamento” (in senso buono) per i propri dipendenti, in modo tale che possano entrarvi per rilassarsi, meditare o fare qualunque cosa possa aiutarli per ricaricarsi.
Altre aziende ricorrono invece a dei metodi più semplici, come il blocco temporaneo degli account e-mail durante le vacanze, per permettere loro di concentrarsi su sé stessi senza interruzioni.
In ogni caso, nonostante le sue limitazioni, l’empatia è fondamentale al lavoro e dunque imprenditori e manager devono essere certi che i loro collaboratori la stiano investendo saggiamente.
L’ultima cosa da tenere a mente può sembrare banale, ma quando si prova ad empatizzare con gli altri la cosa migliore è parlare con loro riguardo alle loro esperienze in modo tale da riuscire ad immedesimarsi con il loro punto di vista.
Chiedere a qualcuno come si sente, cosa vuole e cosa pensa potrebbe sembrare semplicistico, ma è senza dubbio il metodo più accurato.
E’ inoltre meno faticoso per i collaboratori e le loro imprese, in quando utilizzare questa sorta di indagine interna permette di raccogliere informazioni reali invece di speculare alla cieca… e rappresenta un modo più semplice di empatizzare!
Cosa ne pensi?
Se sei alla ricerca di indicazioni per gestire situazioni di burnout nella tua azienda, dai un’occhiata a questa sistema pratico per combattere lo stress.
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