Oggi, servendoci di un articolo pubblicato su The Guardian, parliamo di un argomento attuale e che tanto fa discutere: i software che si occupano di selezione dei candidati quando questi mandano i loro CV ad un’azienda.

Secondo Nathan Mondragon, per trovare il candidato giusto per un impiego bisogna guardare le piccole cose. Centinaia di piccole cose, in realtà.

Mondragon è lo psicologo responsabile di HireVenue, azienda che commercia software che si occupano di fare lo screening di tutti coloro che mandano la propria candidatura per un lavoro. Il software, utilizzato presso grandi realtà come Unilever e Goldman Sachs, chiede ai candidati di rispondere ad alcune domande di fronte ad una videocamera. Nel frattempo, il software fa il suo lavoro: come se dietro al vetro della camera ci fosse un intero team di psicologi, il programma prende nota di impercettibili segnali e cambiamenti della postura, dell’espressione facciale e del tono della voce.

“Il nostro programma ‘fa in pezzi’ le risposte che i candidati danno alle nostre domande, dividendole in centinaia di dati differenti, verbali e non verbali” dice Mondragon. “Alla domanda “Come spenderesti un milione di dollari?”, il candidato reagisce più o meno nel seguente modo: i suoi occhi tenderanno a ruotare verso l’altro, i segnali verbali si interromperanno per qualche secondo. La testa tenderà leggermente verso l’alto, come gli occhi”.

Il software trasforma questi dati in un punteggio, poi comparato con quello degli impiegati più bravi e meritevoli dell’azienda (già registrato nel database del software). L’idea di base è che un candidato di buone prospettive assomiglia molto ad un impiegato già in forze presso l’azienda. Quale essere umano potrebbe accorgersene?

Approcci come l’analisi della voce e la lettura delle “microespressioni” sono state applicate in altri settori con un discreto successo. Ma Mondragon sostiene che l’analisi automatizzata compara in maniera favorevole e con ottimi test della personalità e delle abilità.

Tuttavia, HireVue è solo una delle nuove compagnie che vendono programmi dotati di intelligenza artificiale che rimpiazzano gli operatori delle risorse umane. Si stima, infatti, che questo sistema di preselezione artificiale valga circa 3 miliardi di dollari.

Uno studio di settore svolto in Gran Bretagna ha scoperto una media di 24 candidati per un lavoro a basso salario. Tesco, il più grande datore di lavoro privato del paese, ha ricevuto – nel solo 2016 – qualcosa come 3 milioni di curriculum vitae. Con le candidature in aumento, il processo della lettura dei CV tramite programmi automatizzati è aumentato sempre più. A onor del vero, questo processo è iniziato più di 10 anni fa, tramite semplici programmi che scansionavano i testi dei curriculum alla ricerca di parole chiave. Ora ci si è evoluti e i software che si occupano di recruiting si servono di quiz, testi psicometrici, giochi e chatbot che possono rigettare un candidato molto tempo prima che il suo CV finisca sulla scrivania di un responsabile delle risorse umane.

Senza l’interazione umana o un feedback, il già difficile processo che riguarda l’assunzione è diventato profondamente alienante. “E’ un po’ disumanizzante il fatto di non aver effettivamente il contatto umano con un potenziale datore di lavoro” confessa Robert, un idraulico di 40 anni intervistato per allegare delle testimonianze allo studio. L’uomo utilizza le bacheche con gli annunci di lavoro o i recruiter per trovare lavoretti temporanei.

Harry, 24 anni, sta cercando un lavoro da 4 mesi. Nella grande distribuzione, praticamente ogni posizione aperta prevede il superamento di un test o un gioco. Harry ne completa 4/5 a settimana: il rigetto della candidatura è quasi istantaneo, comunicato senza una parola o un feedback. E ogni volta si ricomincia da zero: “Non sai mai cosa hai risposto di sbagliato – migliorarsi è, quindi, impossibile. Questi test ti lasciano così, un po’ a bocca aperta” continua Harry. Il problema risulta ancora peggiore quando sono persone più adulte a cercare lavoro.

Negli ultimi tempi, però, è nato un vero e proprio movimento “reazionario” contro l’automatizzazione nelle risorse umane. Innanzitutto, i candidati cercano delle strategie alternative per eludere i software. Sui forum in Internet è possibile trovare discussioni-fiume tra studenti informatici e candidati a lavori di ogni tipo: le due parti si scambiano informazioni (pagate, ovviamente) per ingannare i programmi, oppure creano CV falsi per superare i primi step del recruiting. Basta, ad esempio, scrivere la parola “Oxford” o “Cambridge” in bianco ed inserirla in un CV (diventando quindi invisibile per l’occhio umano) per passare i primi screening automatici. Questo trucchetto non è di certo l’unico: tanti altri stratagemmi hanno creato un vero e proprio “mercato nero” sul web.

 

Insomma, parliamo di un argomento eticamente delicatissimo: voi cosa ne pensate? Fateci sapere la vostra, contattate il team Osm1816.

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